USCIREMO PIÙ FORTI

Quando cerco su Google news “usciremo più forti” per capire perché. Trovo quasi tutti risultati di sport e lo sport in questo paese e quasi come la religione, capisco che la frase è come una preghiera e ti fa sentire meglio. L’unica certezza, è che alla fine della strada quando usciremo, usciremo meno, vivremo peggio, ci sarà più disoccupazione, più divisione politica e più disugualianza sociale. Alcuni dicono che saremmo persone migliore, che ci aiuteremo di più tra di noi, che diventeremo più empatici, più forti; io penso di no, eravamo già bravi prima, adesso saremmo più deboli.
Le grande tragedie nazionali non ci hanno mai unito, forse qualche ora per piangere i morti o per qualche manifestazione o sciopero. Ma neanche i grandi processi politici, corruzione in primis, ci hanno fatto più forti, più uniti, migliori, anzi, il contrario, più poveri e più divisi, credendo che ci siano ladri buoni e ladri cattivi. Comunque una certa speranza ce l’ho, perché anche se il bello di noi di questi giorni sparirà, riusciremmo a portare avanti il peggio nella maniera più disgraziata e precaria di sempre. Politicamente non impareremo niente e se abbiamo imparato qualcosa troveremo la maniera di non farne uso. No, no usciremo da una pandemia più forti quando ci ha colpito che eravamo debolissimi. E come pretendere di riscaldarsi accendendo l’aria condizionata d’inverno. Però come ho detto prima un po’ di ottimismo ce l’ho, ma più negli italiani che nell’ Italia. Perché quando chiedono alla Italia di essere più unità e più forte è come invitare a tutti a fare il gioco della fune cercando in maniera giocosa di farci capire che l’unica convivenza politica e che una parte dell’Italia prevalga sull’altra

Slavoj Žižek: “Vedo un nuovo comunismo germogliare dal virus”

Un nuovo senso di comunità: ecco cosa vedo emergere da questa crisi. Una sorta di nuovo pensiero comunista, diverso però dal comunismo storico. Stiamo scoprendo che per battere il virus servono coordinamento e cooperazione globale. Ci accorgiamo di aver bisogno gli uni degli altri come non era mai accaduto prima. Persone e nazioni». Al telefono dalla sua casa di Lubiana, il filosofo e sociologo sloveno Slavoj Žižek, 71 anni, l’autore di celebri saggi come In difesa delle cause perse e L’incontinenza del vuoto, tossisce ripetutamente: «Ho tutti i sintomi del Covid-19, ma non sono positivo. Mi sento male da anni». Forse anche per questo ha deciso di interrogarsi su come la pandemia sta mutando le nostre vite, con una serie di saggi raccolti in Italia da Ponte alle Grazie in un ebook intitolato, appunto, Virus.Scrive: «temo il sonno perché mi assalgono incubi sulla realtà che ci attende». Quella paura ci accomuna tutti: lei cosa prevede?«La realtà è già cambiata. Vediamo governi conservatori mettere in atto misure che in altri tempi avremmo chiamato socialiste: Donald Trump ordina a industrie private cosa produrre. Boris Johnson nazionalizza temporaneamente le ferrovie. Stiamo vivendo in un modo che pochi mesi fa sarebbe stato impensabile. C’è chi teme che i governi approfitteranno del virus per controllarci tutti.Ma io non credo a nuovi totalitarismi. Ho paura, semmai, che aumenti la sfiducia verso le istituzioni: perfino in Cina abbiamo assistito a proteste. Dovremmo trovare un modo per ricostruire la fiducia. Magari con nuovi Assange capaci di smascherare gli abusi. Il virus dimostra che sta a noi, ai cittadini, sottoporre a maggior controllo chi ci governa».Vuol dire che la gente dovrebbe occuparsi di più di politica?«Non c’è momento più politico di questo. Ora che siamo costretti ad affrontare il peggio è chiaro: non c’è più spazio per slogan come “America First”. Per sopravvivere, i governi dovranno occuparsi di creare nuovi sistemi di sanità pubblica più efficienti. E agenzie internazionali capaci di azioni concordate.Insieme a forme di stipendio minimo garantito: una cosa che perfino Trump ha capito. La mia idea di comunismo non è il sogno di un intellettuale. Stiamo scoprendo sulla nostra pelle quanto certe misure vadano prese nell’interesse generale. Costruire un nuovo modo di vivere sarà il nostro test. Ma dobbiamo riprendere le cose in mano adesso».E come si fa? Siamo tutti rinchiusi in casa.«Non stiamo passando il tempo solo a guardare stupidi film: ci poniamo domande basilari. È vero, siamo più isolati, ma anche più dipendenti. Viviamo un imperativo paradossale: ci mostriamo solidarietà non avvicinandoci gli uni agli altri. Non sono un ottimista, ma questo rispetto presuppone un cambiamento in atto che sopravviverà alla crisi».Il costo psicologico è tremendo…«È vero, l’isolamento crea nuove forme di paranoia, lo dimostrano le tante teorie del complotto in Rete. Ma ripeto, vedo emergere una nuova consapevolezza di cosa significa stare con gli altri. Incontrarsi di nuovo sarà una gioia. Ma staremo anche più attenti ai nostri comportamenti. E poi questa situazione ha messo in luce differenze sociali enormi che non so se saranno ancora accettate».Per impedire la diffusione del virus abbiamo chiuso i confini. Assistiamo a nuove forme di nazionalismo. Non teme un rigurgito di populismo?«Mi sembra, semmai, che il messaggio populista stia soccombendo. Non è piaciuto il modo in cui Donald Trump e Jair Bolsonaro erano pronti a sacrificare i deboli. E in Europa non ha funzionato prendersela con cinesi o rifugiati visto che a trasportare il virus sono stati turisti e uomini d’affari. Gli sforzi delle singole nazioni non bastano. Solidarietà globale e cooperazione sono l’unica via.Dovremo però affrontare il futuro dell’Unione europea: è stata ridicolmente passiva».