Italia Ieri Oggi. Mark Twain

“Questo Paese è in bancarot-
ta. Qui non ci sono i mezzi
per eseguire queste grandi
opere. Ed è solo una finzione
la prosperità materiale che
sembrerebbero dimostrare.
Nelle casse del Tesoro non ci
sono soldi, e pertanto queste
opere lo impoveriscono sem-
pre di più, invece di rafforzar-
lo. L’Italia ha raggiunto l’o-
biettivo che le stava più a cuo-
re ed è diventata uno Stato in-
dipendente, e così facendo
ha infilato un elefante nella
lotteria della politica. Ma
non ha nulla con cui nutrir-
lo”. Governo gialloverde,
Tav, ribellione alla Ue non
c’entrano, nonostante le ap-
parenze. Ma chissà cosa scri-
verebbe oggi Mark Twain,
che pubblicò queste parole
esattamente 150 anni fa.
Usciva nel 1869.

“La notte di un’epoca” di Massimiliano Valerii

«La società del rancore ha da una parte un
fondamento concreto: il blocco dei processi
di mobilità sociale, una novità nella nostra
storia: dal dopoguerra in poi lo sviluppo
contava su un meccanismo di progressione
lineare»,(…)«Ma dall’altra parte
è determinata da fattori immateriali, come il
naufragio delle tre grandi narrazioni post-i-
deologiche dominanti dal 1989 in poi: il so-
gno infranto di un’Europa unita. La globaliz-
zazione, che invece di beneici e vantaggi ha
generato sovranismi, guerre dei dazi e “for-
gotten people” minoranze dimenticate e ri-
maste indietro. Il mito tecnologico che al
posto della democrazia ha fatto emergere gli
oligopoli dei giganti della rete, fake news e
post verità. La conseguenza è una nuova antropologia dell’insicurezza: uno stato
di “delazione delle aspettative”, che si impo-
ne come categoria dello spirito del tempo».

Stanno succedendo cose
che non erano mai accadute prima. Non si
era mai veriicata, ad esempio, un’integrazio-
ne così forte della potenza della tecnica nelle
vite personali di ciascuno con livelli simili di pervasività. La celebrazione digitale dell’«io»
è il trionfo dell’individualismo, e si muove
parallelamente alla frantumazione dei palin-
sesti di senso collettivi»

SCYLLA AND CHARYBDIS

I like when the choices are both ugly—
the rock and the hard place. Odysseus chose
Scylla and I, too, would have opted for
a terrestrial evil, the sea vortex probably
concealing some subterranean meat with its beauty.
Soon you and I will exist in different time zones.
While day breaks for you, night will hold me to the big, wild moon.
I cast a wakeful light unravelling across the ocean.
While you swim in open Spanish waters brushing
2the bright-eyed fish, I spin in a street of yellow cars
nod off to an organ in a small church on Broadway.
When you face the queen medusas in the water
transfixed by their pale rosy pulses
their accusatory look of afterlife—know that you are facing me.
I am them in hundreds, blind and mutant
ready to greet and interrogate your days.
These hallucinations are such a small price for your face.
I keep myself busy and disoriented.
I trace our disappearing homelands through myth.
I understand now that to love radically is to always
be willing to be banished to some disfigured island of stone
in the middle of the sea, a small sacrifice, really.
I, too, might have sacrificed a few men
to preserve the whole idea of a voyage.
Or even a nation. Both false beloveds.
That’s the thing.
Our hero didn’t really want to go down with the ship.
Wily, he skidded the sea cosmos.
He knew the milk foaming at the whirlpool’s edge
was bad medicine and chose the lesser of two omens—
a prophecy where the weak get plucked
and you sail on home fine. Just fine.