Qual è per i veneti
il senso e il ruolo
dell’innovazione?
Gli interpellati
dalla Scuola
italiana design di
Padova hanno indicato
quattro priorità: l’ambiente
(il 36 per cento degli
intervistati), la tecnologia
(29 per cento), la salute (14
per cento) e il benessere
sociale (11 per cento).
L’habitat, la condizione
fisica e mentale e la qualità
della situazione sociale
hanno nei comportamenti
umani il loro comune
denominatore. E la
tecnologia? L’innovazione
costringerà l’uomo ad agire
come un robot, o viceversa?
In Silicon Valley, le imprese
assumono artisti e persone
di estrazione umanistica
per aiutare a riconfigurare i
movimenti dei robot in
conformità con i modi di
pensare, sentire e agire
della natura umana.
Accade così che giovani
coreografi partecipino al
dottorato di ingegneria
meccanica dell’Università di
Stanford e conducano
ricerca sui movimenti dei
robot funzionali all’agire
umano. Sarà così anche da
noi se sapremo coltivare le
arti liberali e offrire
opportunità lavorative e
imprenditoriali agli
studenti e laureati in storia,
filosofia, letteratura e altri
di loro che praticano
l’aritmetica, la geometria, la
musica e l’astronomia. È
questo uno scenario che ci
riporta alle università
medievali dove si
apprendeva il saper fare a
tuttotondo, cosa diversa dal
saper tutto, per esempio, su
un artista – il che non vuol
dire esserlo. Quanto le
radici medievali sono forti
nelle scuole umanistiche
degli atenei veneti?
Un interrogativo
di non poco
conto se sono
perfino i
finanziatori
delle innovazioni
tecnologiche a dire e
scrivere che le arti liberali
governeranno il mondo
digitale. Mentre si grida
«al lupo al lupo»,
puntando il dito verso
l’automazione che si
mangerà tanti posti di
lavoro, i più avveduti tra gli
innovatori osservano che
non ci si deve preoccupare
della minaccia
dell’intelligenza artificiale
quando un computer non
mostra alcun segno
d’intelligenza. La
prospettiva cambia
interrogandosi non sul
lavoro futuro ma sul futuro
del lavoro. Nel primo caso
si guarda al lavoro che si
dovrà cercare.
Nel secondo, si pensa al
lavoro non ancora creato e
che potrà nascere in modi
inimmaginabili dalle
competenze acquisite
grazie al gioco a incastro
tra arti liberali, scienza,
tecnologia e matematica.
Un titolo ottenuto nelle
arti liberali è un biglietto
d’ingresso per accedere al
lavoro dipendente e
all’imprenditorialità
quando le competenze
trasversali sono
fondamentali per innovare
e aiutare le organizzazioni
a funzionare in modo
efficace. Pensare
chiaramente, scrivere
bene, rendersi conto del
potere della narrazione,
lavorare in gruppo con
altre persone
comprendendone le
diversità e coinvolgendole
con le proprie idee, porre
le domande giuste,
immedesimarsi con i
fornitori e i clienti: tutte
queste sono abilità utili in
qualsiasi tipo di lavoro che
s’imparano
familiarizzando con le arti
liberali.
Il risultato che si ottiene
è riassumibile con
l’espressione «cercare di
far agire un computer
come una persona è
decisamente meglio del
contrario».
Secondo i dati forniti da
Google
(https://books.google.co
m/ngrams), in Italia è
diminuita nel corso degli
anni la frequenza dell’uso
di parole quali letteratura,
storia, filosofia e arte.
Tecnologia e innovazione
sono più frequenti. Meno
utilizzata è anche la parola
Imprenditore, mentre è
cresciuta la frequenza
della parola Manager.
Resta da interrogarsi se e
quanto queste tendenze
siano attribuibili alla poca
pratica del gioco d’incastro
tra arti liberali e
tecnologia. E, ancora, dal
non considerare che il
successo nel nuovo mondo
tecnologico abbia tra i suoi
protagonisti fondatori e
leader imprenditoriali che
hanno studiato letteratura
e storia (è il caso di
YouTube), scienze
politiche (Pinterest),
design e arte (Airbnb).