Sei grandi ondate di innovazione: la sesta è quella della Sostenibilità

Una nuova ondata di trasformazione è appena iniziata: l’innovazione verde che cavalca la digitalizzazione. Questa sesta ondata tecno-economica inaugurerà un’era definita dalla transizione alle fonti rinnovabili e dai flussi economici circolari. Ma si realizzerà pienamente quando consumatori, aziende e politica procederanno nella stessa direzione

Last stand in the Amazon

La terra

«La superfice terrestre è così suddivisa: 71% sono oceani, il restate  29% è terra. Di questo 29% di terra, il 10% è coperto da ghiacciai, mentre un ulteriore 19% è considerato terra arida: cioè, deserti, saline secche, spiagge, dune di sabbia e rocce esposte. Il 71% è definito come terreno abitabile. Di questo 71% di terreno abitabile, il 50% è utilizzato per l’agricoltura, il 37% è occupato da foreste; 11% da arbusti e praterie e 1% come copertura di acqua dolce; e il restante 1% – una quota molto minore di quanto molti sospettano – è un’area urbana edificata che include città, paesi, villaggi, strade e altre infrastrutture umane. La terra utilizzata per l’alimentazione animale e il bestiame rappresenta il 77% del terreno agricolo globale. Tuttavia, nonostante questa categoria (bestiame e alimentazione per bestiame) occupi la maggior parte dei terreni agricoli del mondo, produce solo il 18% delle calorie mondiali e il 37% delle proteine totali» [Pascale, Agrifoglio].

Le generazioni del cambiamento climatico. Riccardo Valentini (lpcc), Università della Tuscia

[…]«Però la nostra generazione non è grado di farcela, dobbiamo affidarci ai giovani,dice Valentini. «I cinquantenni ei sessantenni di oggi sono cresciuti pensando di poter consumare a piacimento: ora fanno fatica a capire che non è cosi. Oltre alla barriera tra le due culture, c’è una barriera generazionale: noi adulti siamo strutturalmente inadeguati ad affrontare il problema ambientale, e la cosa vale anche per gli artisti e gli intellettuali. Ci vogliono Greta ei ragazzi di Friday for Future».

The Intergovernmental Panel on Climate Change

“La notte di un’epoca” di Massimiliano Valerii

«La società del rancore ha da una parte un
fondamento concreto: il blocco dei processi
di mobilità sociale, una novità nella nostra
storia: dal dopoguerra in poi lo sviluppo
contava su un meccanismo di progressione
lineare»,(…)«Ma dall’altra parte
è determinata da fattori immateriali, come il
naufragio delle tre grandi narrazioni post-i-
deologiche dominanti dal 1989 in poi: il so-
gno infranto di un’Europa unita. La globaliz-
zazione, che invece di beneici e vantaggi ha
generato sovranismi, guerre dei dazi e “for-
gotten people” minoranze dimenticate e ri-
maste indietro. Il mito tecnologico che al
posto della democrazia ha fatto emergere gli
oligopoli dei giganti della rete, fake news e
post verità. La conseguenza è una nuova antropologia dell’insicurezza: uno stato
di “delazione delle aspettative”, che si impo-
ne come categoria dello spirito del tempo».

Stanno succedendo cose
che non erano mai accadute prima. Non si
era mai veriicata, ad esempio, un’integrazio-
ne così forte della potenza della tecnica nelle
vite personali di ciascuno con livelli simili di pervasività. La celebrazione digitale dell’«io»
è il trionfo dell’individualismo, e si muove
parallelamente alla frantumazione dei palin-
sesti di senso collettivi»

Migrations

FURORE. JOHN STEINBECK

“Siamo sempre in viaggio.
Sempre in cammino. Perché a questa cosa non ci pensa
nessuno? Oggi tutto si sposta. La gente si sposta. Sappiamo
perché e sappiamo come. La gente si sposta perché lo deve
fare. Ecco perché la gente si sposta. Si sposta perché vuole
qualcosa di meglio”

(…)

“Nell’Ovest si diffuse il panico di fronte al
moltiplicarsi degli emigranti sulle strade. Uomini che
avevano proprietà temettero per le loro proprietà. Uomini che
non avevano mai conosciuto la fame videro gli occhi degli
affamati. Uomini che non avevano mai desiderato niente
videro la vampa del desiderio negli occhi degli emigranti.
E gli uomini delle città e quelli dei ricchi sobborghi agrari
si allearono per difendersi a vicenda; e si convinsero a
vicenda che loro erano buoni e che gli invasori erano cattivi,
come fa ogni uomo prima di andare a combatterne un altro.
Dicevano: Quei maledetti Okie sono sporchi e ignoranti.
Sono maniaci sessuali, sono degenerati. Quei maledetti Okie
sono ladri.”

(…)

“La gente è il posto dove vive. E la gente non è più intera se
l’ammucchi in una macchina e la mandi da sola chissà dove.
Non è più viva”

Le città e il turismo, Pier Luigi Cervellati e Massimo Cacciari

Pier Luigi Cervellati. Urbanista:

Perché dovrei affittare un appartamento a chi vorrebbe risiedervi se mettendolo su Airbnb guadagno quattro volte tanto con un affitto turistico per una settimana o un week end? A Firenze, a Roma e anche altrove una parte crescente di abitazioni in centro non appartiene a residenti. Non parliamo di Venezia. Ora, non dovunque, ma lo spopolamento è spaventoso».
Quali sono le conseguenze?
«Senza residenti non c’è città. Né storica né d’altro tipo».

Massimo Cacciari. Filosofo:

Bisogna partire da una visione realistica non dalle utopie». Massimo Cacciari risponde a Pier Luigi Cervellati, intervistato ieri
su Repubblica da Francesco Erbani sulla questione dello svuotamento dei centri storici ridotti a grandi shopping center, quasi con stupore: «Ma di cosa stiamo parlando? Come si può solo
pensare di eliminare i turisti dai centri storici e riportarci i
residenti? Sono ragionamenti da anime belle». Per il filosofo abituato a riflettere sulla razionalità moderna e sulle trasformazioni della polis, e che è stato per anni sindaco di Venezia, la denuncia di Cervellati pecca di astrazione.
Perché le sembra irrealistico immaginare di ripopolare la città
storica risanando le abitazioni?
«Sarebbe un’idea strepitosa se fosse fattibile, ma non lo è. Tutte le
persone ricche e straricche che abitavano sul Canal Grande quando ero ragazzo hanno scelto di andarsene perché i costi di
manutenzione di una residenza storica sono incompatibili con le
tasche di chicchessia»

Cervellati propone soluzioni per non lasciare il centro
cittadino solo ai supermercati o ai grandi negozi di abbigliamento.
«Sono discorsi destinati a cadere nel vuoto perché ignorano il contesto storico, economico, sociale in cui ci troviamo. Sono proposte assolutamente irrealizzabili, sia nei centri storici italiani sia in quelli di Parigi, Vienna o Londra. A Manhattan come a Trafalgar Square. Il fenomeno che viviamo in Italia è analogo a
quello di tutti i centri storici delle maggiori città del mondo, dove
funzioni più redditizie di quelle residenziali diventano competitive».
Sta parlando dei soldi portati dal turismo?
«Sa qual è la verità? Che molti importanti edifici del centro di
Venezia e di Firenze sono stati salvati dall’attività ricettiva. Senza
la possibilità di trasformarli in strutture turistiche, molti edifici
importanti sarebbero crollati».

Dunque dovremmo ribaltare tutto e arrivare a dire che sono i turisti a salvare le città?
«Il turismo dà da vivere,direttamente o indirettamente, a
30- 40 mila famiglie soltanto a Venezia. È uno dei nostri massimi
settori industriali, ci rende competitivi».
Ci sarà però un modo per venire a patti con la realtà senza
snaturarla?
«Il problema italiano è che stiamo diventando una monocultura. Il turismo dovrebbe affiancarsi ad altro. Dovremmo riuscire a far
decollare nei centri storici altre attività, direzionali e terziarie:
aziende, centri di ricerca, attività diformazione, università».

Franco Bernabè:L’insostenibilità dei grandi numeri.(Paolo Conti.corriere della sera)

Franco Bernabè, banchiere, è il presidente della Commissione italiana per l’Unesco e anche della Quadriennale d’arte di Roma. In passato ha guidato la Biennale di Venezia e il Mart di Trento e
Rovereto. La sua passione per il patrimonio culturale italiano si lega a una vasta esperienza internazionale. Un interlocutore adatto per capire cosa si pensi dell’Italia, e del suo retaggio sto-
rico-artistico, nel mondo.

Come viene percepita l’offerta culturale italiana in campo internazionale?
«Nonostante il pessimismo che si respira troppo spesso in Italia, viene percepita molto bene, come dimostra il
volume e il tipo di turismo che raggiunge il nostro Paese soprattutto nelle città d’arte, che si trovano a un preoccupante livello di saturazione. Ma non sempre, da noi, c’è il giusto riconoscimento del valore del nostro patrimo-
nio artistico culturale. Infatti non dobbiamo illuderci: non possiamo pensare che la nostra unicità possa restare eter-
na, nel panorama dell’offerta culturale planetaria, in continuo cambiamento».

Ormai molti grandi Paesi puntano sia sulla cultura che sull’attenzioneall’ambiente…
«Infatti. In molti altri Paesi — penso alla Cina eatante realtà dell’Asia — la politica ambientale e quella culturale vengono viste come motori di miglioramento e di forte crescita dell’econo-mia nel panorama della globalizzazione. Una netta inversione di rotta rispetto alla seconda metà del ’900».

La Cina è ormai il secondo Paese,dopo l’Italia, che ha il maggior numero di siti considerati Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. È diventato il nostro competitor culturale?
«È irrealistico vedere nella Cina un nostro avversario. Parliamo di un Paese immenso che sta investendo cifre enormi nell’incremento del suo patrimonio artistico, con l’apertura di innumerevoli musei di arte antica e contemporanea. Le dimensioni sono imparagonabili con le nostre. La Cina ha 4.000 anni di storia, mortificata negli ultimi due secoli prima dal colonialismo e poi dalla tragedia della guerra civile e del maoismo. Invece oggi fa parte preminente dell’orgoglio nazionale. Nel medio-lungo periodo la sua offerta culturale sarà sempre più ricca e vasta, con dimensioni impensabili per l’Italia. Ma noi abbiamo il nostro grande ruolo culturale, anche se le dimensioni geografiche sono ridotte, e dobbiamo difenderlo con vigore. Anche dalla saturazione».

Il triangolo del turismo di massa Roma-Firenze-Venezia è sempre più soffocato…
«Un fenomeno che si sta allargando anche ad alcune città minori. La pressione turistica di massa sta diventando intollerabile, soprattutto in alcuni luoghi iconici. Un esempio per tutti: il degrado davanti alla Fontana di Trevi a Roma è il simbolo dei problemi che dovremo affrontare se vorremo davvero fronteggiare la crescita del turismo internazionale. I grandi numeririschiano di procurare più danni che benefici».

Come si può risolvere una questione sempre più grave?
«Diversificando e allargando ad altri luoghi, per ora assai poco valorizzati,l’offerta turistica. Ma soprattutto intervenendo subito, dal punto di vista normativo, nei luoghi più affollati che ri-schiano non solo lo snaturamento, ma danni irrimediabili. Vedo due nodi da affrontare: la liberalizzazione del commercio e quella dei bed and breakfast. La liberalizzazione del commercio, nelle grandi città d’arte, ha permesso la morte delle botteghe e attività artigiane che costituivano parte integrante
dell’identità dei luoghi. Al loro posto sono nati venditori di chincaglierie,minimarket, fast food e street food.
Non solo uno sfregio tremendo ma anche migliaia di persone che, ogni giorno, mangiano girando per le strade e per le vie. Un fenomeno di massa che altri Paesi non tollerano. Lo stesso pro-
blema riguarda l’invasione dei bed andbbreakfast nei centri storici che si stanno massicciamente sostituendo alle residenze di chi, in quelle città, è nato e lavora. Si dovrebbe intervenire legislativamente, e subito, con norme molto chiare e strette. La vera tutela si realizza tenendo conto di un contesto molto ampio. Mi sembra una questione straordinariamente urgente: sottovalutarla sarebbe, in prospettiva, un errore irreparabile».

Lei cosa pensa delle prime domeniche del mese gratuite decise dall’exministro Dario Franceschini e delle nuove ipotesi messe a fuoco dall’attuale ministro Alberto Bonisoli, ovvero prime domeniche gratuite in inverno e poi un pacchettoadisposizione
dei singoli direttori di musei?
«Penso soprattutto che vada adottato qualsiasi strumento adatto a rendere facilmente accessibili i musei per dif-
fondere quanto più possibile la cultura nei diversi strati della popolazione. La sensibilità all’arte, al bello fanno parte
integrante del nostro tessuto anche produttivo. Prendiamo i dettagli: solo l’Italia è capace di proporre oggetti curati nel più piccolo particolare. É ciò che ci rende unici sui mercati planetari: e una simile sapienza passa attraverso l’arte. Infatti senza la nostra grande bellezza non ci sarebbe il gusto del lus-
so, e le industrie che gli sono legate.Nel nostro sistema-Paese, insomma, i musei e l’arte sono veramente il carburante che, se ben usato, può alimentare un’imbattibile creatività industriale».
Valorizzazione e tutela del Patrimonio possono coesistere?
«Il problema è mal formulato. Per me la vera valorizzazione non è tanto economica quanto, appunto, culturale.Il patrimonio si valorizza davvero facendolo conoscere quanto più possibi-
le soprattutto ai più giovani: i direttori dei musei devono essere propositivi,soggetti attivi, quindi veri imprenditori culturali. E, dall’altra parte, gli stessi musei devono essere luoghi vivi e fre-
quentati. Non solo scrigni destinati alla tutela, come qualcuno vorrebbe: ritenendo —esbagliando — che la quantità di ingressi sia irrilevante, o che sia addirittura meglio se i visitatori sono
pochi. Con i musei, lo sappiamo bene,non si fanno soldi: non succede in nessuna parte del mondo. La vera ricchezza culturale di un Paese si realizza con la crescita della sensibilità collettiva
per il bello, per l’arte, per ciò che ci circonda da secoli e costituisce il pilastro della nostra identità».

In questo contesto, la Quadriennale d’arte di Roma, col progetto fino al 2020, punta proprio a dialogare in campo internazionale…
«La Quadriennale ha fortunatamente ritrovato il suo ruolo. Ciò che stiamo facendo, con il direttore artistico Sarah Cosulich e il curatore Stefano Collicelli Cagol, in vista dell’esposizione del 2020, è un’attività di analisi e valorizzazione delle forze che domineranno la scena artistica italiana nei prossimi 15-
20 anni. Materiale culturale da promuovere all’estero: parlo sia degli artisti che dei curatori. I due programmi,Q-Rated, Q-International, in vista dell’esposizione Q-2020, puntano, con un
sistema di bandi, a una formazione allargata, al dialogo tra gli artisti italiani e le grandi istituzioni culturali internazionali, alla realizzazione di workshop annuali. Un itinerario per una esposi-
zione dell’arte italiana nel 2020 che non può non tenere conto della situazione della creatività nelresto del mondo».

Oltre il dogma della crescita(Politiken, Danimarca)

Se la realizzazione di uno sviluppo sano e sostenibile potesse essere aidata al solo pensiero economico dominante,quello che guarda alla crescita come un afamato guarda a una tavola imbandita,potremmo continuare a far festa.Continuare a produrre e consumare fino a quando non avremo venduto l’ultimo barbecue e avremo la cantina piena di aggeggi inutilizzati. Potremmo indebitarci sempre di più, consumare di più e lasciare il controllo in mano al capitalismo.
Ma guardare conil paraocchi alla sola crescita economica è incompatibile con il dovere morale di tutelare l’interesse delle generazioni future.Per questo 236 ricercatori europei hanno lan-
ciato un appello a rimettere in discussione il dogma della crescita economica, che divide la società, crea instabilità economica emina la democrazia.Una società senza crescita economica
è un’idea interessante, ma anche incompatibile con la realtà.La crescita ha liberato dalla povertà miliardi di persone eha creatobenessere in tutto il mondo. Ma nel momento in cui fa esplodere disuguaglianze e devasta il clima, questa stessa
crescita crea le condizioni per crisi sociali e squilibri che possono risultare in drammatici flussi migratori, disordini e violenze.
Non solo: lasciare che a decidere siano i feticisti del bilancio signiica accettare l’idea chel’economia è il principio guida per governare una società. Quest’idea, che in Danimarca ha indi-
rizzato la politica dei governi di destra e sinistra negli ultimi vent’anni, è nefasta e va messa in discussione. Bisognerebbe cercare modi alternativi per misurare la crescita, come propongo-
no diversi partiti danesi. È così che possiamo riprendere il controllo delle nostre vite

Laurent Jofrin, Libération, Francia

Si dice che l’ecologia è neutra, una causa comune a tutti i partiti. È un’enorme bugia. Al contrario, l’ecologia implica la gestione collettiva dello sviluppo e un profondo coordinamento tra pubblico e privato. La lotta per la natura è per suastessa natura socializzante

Le
Hamlet de l’écologie